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Serve una dimostrazione di concreto interesse verso i problemi del mondo dei trasporti e della logistica

Non sono bastate le sollecitazioni, i caveat e le continue esortazioni alla prudenza per stimolare nell’Esecutivo una dimostrazione di concreto interesse verso i problemi del mondo dei trasporti e della logistica. E così, oggi, siamo entrati in una fase estremamente delicata, i cui esiti sono difficili tanto da prevedere quanto da controllare.

Saranno forse state le notizie giunte da oltreoceano, dove gli autotrasportatori stanno manifestando più per motivi legati alle limitazioni delle libertà introdotte per contrastare la diffusione del virus che per ragioni attinenti ai problemi del comparto. O forse saranno le notizie che provengono da Paesi più prossimi al nostro come Francia e Spagna, i cui governi sono riusciti a concertare con le parti sociali delle soluzioni per andare incontro alle esigenze del trasporto.

Sta di fatto che, anche in Italia, cominciamo a registrare le prime avvisaglie di iniziative spontanee, scaturite dal malcontento della categoria. Purtroppo, le nostre segnalazioni e richieste di intervento sono state inascoltate e ora sussiste il rischio concreto che si diffondano proteste incontrollate in cui trovino spazio istanze diverse da quelle che direttamente interessano l’autotrasporto.

Non vorremmo mai che la forza dirompente, ma soprattutto le giuste ragioni, che la categoria accampa vengano sfruttate indebitamente per dare visibilità alle posizioni dei no-vax. Ognuno è libero di nutrire le proprie convinzioni.

Personalmente, pur avendo le mie perplessità, ho ritenuto di condividere la scelta della vaccinazione. Certo, ciò non mi ha impedito di contestare alcuni provvedimenti discutibili, per non dire “stupidi”, che sono stati adottati, come quello che prevede l’applicazione di regole diverse per i conducenti italiani e stranieri. Senza ombra di dubbio, ho evidenziato con forza l’insensibilità e l’ignoranza di chi emanava norme che impedivano ai conducenti dei Tir di appagare le proprie necessità primarie, come bere un caffè o soddisfare un bisogno fisiologico.

Norme tantopiù odiose in quanto si rivolgevano contro una categoria di lavoratori che, rischiando il contagio, non ha fatto mancare il proprio contributo decisivo affinché le attività economiche del Paese non si bloccassero durante la prima fase della pandemia. Allo stato delle cose, quegli esempi di generosità sono stati dimenticati e gli “eroi” di ieri sono oggi costretti a subire le conseguenze di scelte economiche gravemente penalizzanti.

Nessuno chiede dei trattamenti speciali, ma è assurdo che a pagare le conseguenze dei rincari del gasolio, dell’Urea e del gas naturale liquido siano quegli operatori che, per rispondere positivamente alla transizione ecologica e partecipare al miglioramento delle condizioni ambientali, hanno investito in automezzi ecologici. Eppure, lo Stato sta incassando, rispetto a quanto preventivato, maggiori introiti derivanti dall’Iva sui carburanti. Perché, allora, non sterilizzarla per sei mesi? Un Esecutivo responsabile, pur comprendendo la complessità della situazione, avrebbe intavolato un confronto con le federazioni responsabili, per trovare soluzioni che stroncassero sul nascere le iniziative dei movimenti autonomi volte unicamente a cavalcare il malcontento della categoria, sfruttando la eco mediatica che esso produce.

Intendiamoci, le ragioni per protestare esistono e sono oggettive. Proprio per questo, chi ha responsabilità di governo, avrebbe dovuto agire per evitare che queste condizioni fossero aggravate da decisioni che impattano pesantemente sulle attività di trasporto. Purtroppo, questo non è avvenuto ed oggi ci attende un duro lavoro per ricompattare tanti operatori che si sentono abbandonati.

Il Presidente del Consiglio è avveduto e dovrebbe sapere che ogni tentativo di sedare il vento della protesta nel mondo dell’autotrasporto è destinato a fallire se non si coinvolgono attivamente i corpi intermedi responsabili. È anche comprensibile che lo stato di difficoltà in cui versano questi operatori venga strumentalizzato e addirittura frainteso dai soloni esperti del nulla o dai tuttologhi che non vedono al di là del proprio naso e si lanciano i giudizi superficiali senza neppure sapere di cosa parlano. Il momento è delicato.

Le soluzioni sono tutt’altro che ovvie. Si pone il problema della compatibilità con le norme comunitarie e della scarsità delle risorse che, anche se importanti, non bastano a colmare situazioni drammatiche. Tutti dovrebbero avere da un lato la consapevolezza della situazione attuale e dall’altro la capacità di comprendere che, senza un’adeguata gestione della situazione di crisi, si corre un rischio simile a quello di accendere un fiammifero in una polveriera. Non si commetta l’errore di sottovalutare la situazione.

Nel passato, in simili congiunture, ci si è affidati all’esperienza e alla capacità di realtà associative che sapevano distinguere tra l’interesse generale e quello particolare. Quello che avverrà oggi lo vedremo.